Com’è noto, il MoSE, sistema di paratoie mobili che difendono Venezia dalle acque alte, influisce inevitabilmente sull’operatività del porto e le prime reazioni suscitate dalla sua messa in esercizio sono state molto critiche; infatti nei frequenti periodi di chiusura del MoSE il transito delle navi e l’accesso al porto è impedito anche a causa del fatto che la conca di navigazione, prevista alla bocca di Malamocco, non è ancora operativa e soprattutto non sarà idonea per dimensioni a ricevere le grandi navi porta container di ultima generazione.
In questo quadro si deve ancora considerare che il porto di Venezia è ben servito dai collegamenti stradali e ferroviari, ed ha una grande potenzialità di stoccaggio nelle aree immediatamente adiacenti, mentre la sua collocazione all’interno della laguna, pur vantaggiosa rispetto ai porti esterni in termini di un naturale riparo, ne limita l’operatività, legata alla dimensione dei fondali e alla conformazione dei canali interni lagunari, che non appare possibile modificare ulteriormente.
Partendo da questi spunti, la conversazione si è articolata sul convincimento che “ai tempi del Covid” l’economia turistica è in crisi totale, né si può pensare che in un futuro prossimo le cose tornino allo stato precedente: di solo turismo oggi si muore o, quanto meno, si vive pericolosamente; il buon funzionamento del porto commerciale è quindi strategico ed indispensabile per Venezia, così come lo è la difesa dalle acque alte, che si è visto essere in gran parte incompatibile con la portualità. Urge trovare una soluzione.
Questa potrebbe essere la realizzazione, peraltro già proposta diverso tempo fa, di un nuovo porto off-shore per le grandi navi, al largo di Venezia, nel mare Adriatico, a otto miglia dalla costa; questo potrebbe ospitare le navi portacontainer fino a 20.000 – 22.000 TEU, e potrebbe funzionare come hub dal quale far partire imbarcazioni diverse e di minori dimensioni dirette ai porti dell’alto Adriatico, da occidente a oriente, creando un sistema portuale unitario comprendente Ravenna, Chioggia, Venezia, Monfalcone, Trieste, nonché i porti Croati, con grande convenienza economica per tutti i partecipanti al sistema; in questo modo si potrebbe uscire dalla marginalità cui sono condannati i nostri porti per entrare in concorrenza con quelli del Nord Europa, cui potrebbe essere sottratta una parte del business. Il modello della nave che scarica progressivamente e consecutivamente in più destinazioni ormai non sembra essere più competitivo.
Paolo Costa ha sostenuto così la centralità del porto di Venezia per l’economia della città, ma anche per il Veneto e per l’Italia, segnalando che, senza un programma di rinnovamento e di sviluppo, è destinato ad un progressivo declino. La stessa portualità italiana non è in grado di competere con i grandi porti del nord Europa (Rotterdam, Anversa) gli unici attualmente in grado di ricevere le navi di grandi dimensioni. L’assenza di una politica portuale Italiana, con i singoli porti, troppo piccoli per poter essere funzionali e competitivi sui mercati internazionali, che si fanno concorrenza tra loro, porta all’impossibilità di fronteggiare la concorrenza del Nord Europa
Un ultimo importante aspetto toccato dal prof. Costa è stato il problema del traffico passeggeri, crocieristico, ed il grande incremento che ha avuto negli ultimi anni con la conseguente controversia sul transito delle navi davanti al bacino di San Marco: a questo proposito è utile considerare che le navi da crociera hanno un’influenza relativa sul turismo veneziano, ed inoltre valgono una frazione trascurabile dell’attività portuale; sono utili perché pagando bene i sevizi, consentono di applicare tariffe più concorrenziali ai traffici commerciali. Secondo il prof. Costa la soluzione potrebbe essere realizzare un terminal decentrato.